Anime e corpi

sul cattolicesimo ultraprogressista

Pubblicato in Libertà di educazione, n.3/2003, pp. 134/7.


Come accennavamo[1], negli ultimi anni si è assistito nel “mondo cattolico” a quello che potremmo chiamare un netto spostamento a sinistra. Sono lontani in effetti non solo i tempi in cui la Santa Sede comminava la scomunica a chi votava comunista, ma anche i tempi in cui Giovanni Paolo II si ergeva a difensore della libertà della Chiesa e dell'uomo contro il potente sistema internazionale comunista[2]. Da quasi quindici anni il comunismo non fa più paura, confinato ormai al rango di innocuo rudere archeologico, da molti anzi nostalgicamente idealizzato (“l'idea era buona, peccato l'abbiano guastata gli uomini”). Non basterebbe però la fine dell’incombere della minaccia comunista a spiegare le diffuse simpatie di molto mondo cattolico per una sinistra postleninista, spurgata del “fattore K”. Nel senso che del “fattore K” la sinistra postleninista non ha dato un giudizio storico convincente: ciò che manca, a nostro parere, è una seria analisi del motivo del fallimento comunista. Importanti esponenti dell’area post-comunista ritengono tale fallimento dovuto a cause contingenti, e pertanto temporaneo[3]. Noi riteniamo invece che il fallimento sia strutturale e non contingente: è infatti inevitabile il fallimento di un progetto che ponga l'uomo al posto di Dio, e che si proponga un obbiettivo non limitatamente politico-sociale (arginare dislivelli socioeconomici, favorendo la diffusione del benessere), ma ideologico-totalizzante, quello di creare un Uomo Nuovo, divino, esauriente artefice del proprio destino e capace di risolvere fino in fondo il problema del male e della salvezza. Che dei credenti stringano una alleanza organica con chi non ha fatto seriamente i conti con la propria storia, una storia fatta di sanguinarie persecuzioni anticristiane, appare quantomeno ingenuo, e da ascrivere non tanto a misericorde carità, quanto a superficiale smemoratezza[4].

la metamorfosi del doverismo

A spiegare questa poco esigente leggerezza ci sembra allora intervenire un altro fattore, ossia una simpatetica convergenza sul tema della centralità delle regole, frutto di quella che potremmo chiamare la metamorfosi del doverismo, cui abbiamo già altrove accennato. In sintesi per doverismo intendiamo la (tendenziale) riduzione della fede, dagli inizi dell’epoca moderna, a sforzo della volontà umana, misconoscendone, o almeno trascurandone, l’aspetto, decisivo all’origine del Cristianesimo, di incontro con l’Iniziativa di un Altro. Fino alla prima metà del XX secolo il doverismo è stato declinato in una prospettiva individuale: essere cristiani significava fare bene il proprio dovere, specie per quanto concerne i peccati relativi al sesso; a tale moralismo individualista è succeduto, dalla fine degli anni ’60, un moralismo incentrato su temi sociali: il cristiano è colui che si impegna a fondo a favore dei poveri, per costruire, con il proprio progetto e le proprie forze, una società giusta ed egualitaria.

La filiazione del doverismo sociale dal doverismo moralista è documentata anche dal fatto che l’area della sinistra, verso cui è stato traghettato parte del mondo cattolico, è l’area, di matrice leninista, che dà grande spazio alle regole impersonali, rispetto alla creatività personale. Un personaggio che potrebbe documentare esemplarmente tale filiazione è l’ex-presidente della Repubblica O.L. Scalfaro: vi è una perfetta continuità e coerenza tra lo Scalfaro dell’immediato dopoguerra, che schiaffeggia in un ristorante romano una signora dalla scollatura un po’ troppo generosa, e lo Scalfaro presidente, risentito paladino di un diritto soffocantemente astratto, infarcito di aulica e pomposa retorica, astiosamente avverso all’iniziativa spontanea. Si tratta infatti, in generale, di un tipo umano più attento all’impersonale, al “ciò” che al tu, un tipo umano che non ama l’imprevedibile, ma il regolabile, la legge per lui prevale sul fatto, il dover essere sull’essere (e, si potrebbe aggiungere, le “istruzioni per l’uso” sui miracoli[5]); e quando la realtà, nella sua “testarda” concretezza, sfida e scardina gli schemi umani, spesso in tale tipo umano insorgono, tramite uno spaesato sconcerto, (girotondina) indignazione e scomposta rabbia (vedi Genova, luglio 2001). Qui sta, a nostro avviso, la sostanziale continuità tra il moralismo sessuofobico preconciliare e il moralismo, per così dire, profittofobico di certo postconcilio: permane una radicale diffidenza verso la soddisfazione (affettiva, prima, economica poi).


Non è una opzione per uno schieramento politico (di sinistra piuttosto che di centro, o centro-destra) a poter fare problema[6]. E in certi contesti essa appare senza dubbio consigliabile, comunque di diritto legittima, se circoscritta a una dimensione, come dire, puramente politica. Da molti indizi invece ci sembra si possa affermare che, almeno in Italia, molto mondo cattolico intenda la propria adesione all’area egemonizzata dalla sinistra postleninista in un senso ideologico-totalizzante.

Vorremmo verificare questa tesi su due temi: quello del rapporto tra materia e spirito, di cui parliamo in questo articolo, e quello ecologico, di cui parleremo prossimamente.

L’anima, astrattamente riconosciuta…

Dal punto di vista dogmatico a pochi cattolici verrebbe in mente di negare che l'uomo, oltre che corpo, sia anche anima. Si tratta in effetti di un punto centrale della visione cristiana della realtà: l'uomo è creato da una Realtà, Dio, che è invisibile, puro Spirito, ed è da Dio destinato a una vita immortale in primo luogo in forza di una componente, immortale e spirituale, cioè l’anima, che il Creatore ha immesso in lui. Chi negasse che nell’uomo ci sia un’anima immortale, farebbe poi molta fatica a spiegare come faccia l'uomo a trascendere un orizzonte puramente terreno, farebbe molta fatica quindi a conciliare tale antropologia materialistica con l’insieme della fede, che fa invece riferimento a un Mistero (non materiale e invisibile). Su tale linea tutti i pensatori cristiani, da S.Agostino a S.Tommaso, da Scoto al Gaetano, da Maritain a Blondel, hanno sostenuto che nell’uomo esiste una dimensione non riducibile alla corporeità. Del resto esplicito è il bimillenario Magistero della Chiesa, ripreso anche nel recente Catechismo:


§ 362. La persona umana, creata a immagine di Dio, è un essere insieme corporeo e spirituale. (…)

§ 363. (…) il termine anima indica (…) tutto ciò che nell'uomo vi è di più intimo [Cf Mt 26,38; Gv 12,27] e di maggior valore, [Cf Mt 10,28; 2Mac 6,30 ] ciò per cui più particolarmente egli è immagine di Dio: “anima” significa il principio spirituale nell'uomo. (…)

§ 366 La Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio (…) ed è immortale(…).”


… di fatto negata (ossia l’idea come sovrastruttura)

Tuttavia, se dal punto di vista di una astratta teoria ogni credente minimamente pensante deve ammettere l’esistenza dell’anima, dal punto di vista di una interpretazione della realtà concreta, le cose vanno diversamente: si è progressivamente fatta strada una prospettiva che di fatto ricalca l’idea marxista di struttura/sovrastruttura.

Pensiamo ad esempio alla lettera inviata dal Ministro generale dei Frati Minori, all’inizio della seconda guerra del Golfo, in cui si sostiene che l’esauriente causa del terrorismo risiede in ingiustizie economiche. Si tratta di una tesi che esprime una opinione diffusa in molto mondo cattolico, benché di innegabile derivazione marxista. Vediamo infatti di riflettere su ciò che implicitamente contiene quella affermazione. Poiché ogni azione è preparata dal pensiero, ne segue che i terroristi agiscono in un certo modo (da terroristi), perché pensano in un certo modo; ma pensano in un certo modo, perché spinti, costretti, necessitati dalle loro condizioni economiche. Per evitare che ci sia un pensiero terrorista basterebbe allora rimuovere quella base economico-materiale che li costringerebbe a pensare (e quindi ad agire) in modo terroristico.

Ora, noi non vogliamo negare che quella che Maritain, in Umanesimo integrale, chiamava la causalità materiale, e dunque anche economica abbia una sua parte, anche importante, nelle vicende umane. Quello che però è altrettanto certo, in una antropologia cristiana, è che l'uomo è anche materia, ma non solo materia, e che la materia non è il fattore principale, prevalente, determinante. La corporeità condiziona, ma non determina. Agere sequitur esse: l’agire è conseguenza dell’essere, della struttura ontologica. Un’ape si comporta da ape, un cavallo da cavallo: un’ape non nitrisce, né un cavallo ronza o costruisce alveari. Agere sequitur esse: se la natura dell’uomo è corporeo-spirituale, il suo agire sarà, di conseguenza, corporeo-spirituale. Non è viceversa immaginabile che un essere corporeo-spirituale si comporti in modo puramente materiale. Ne segue, in buona logica, che non solo le condizioni materiali influenzano il pensiero, ma ancora di più che è il pensiero a influenzare le condizioni materiali.

Vogliamo delle conferme sperimentali? Si pensi allora all’Europa: ciò che ne ha determinato la nascita (all’inizio del Medioevo) e lo sviluppo tecnico-economico, che l’ha resa la civiltà dominante planetaria, non è una abbondanza di risorse materiali maggiore che in Asia, o negli altri continenti. L’Europa nasce da un’idea[7], che aiuta a manipolare, in modo più efficace che in altre aree di civiltà, le risorse naturali. Si consideri un caso più circoscritto nel tempo e nello spazio: il destino di India e Pakistan: stessa etnia, stessa famiglia linguistica, stesso punto di partenza all’atto di indipendenza, nel 1949, dopo la identica sorte di colonie inglesi per due secoli; eppure l’India è diventato una democrazia, il Pakistan no. Che cosa ha fatto la differenza? Una diversa idea, una diversa interpretazione complessiva della realtà.

Ancora, perché alcuni popoli, poverissimi, non hanno un atteggiamento di rancorosa acredine e di sanguinaria aggressività? Perché invece altri, ricchi, o ricchissimi, come l’Arabia e i paesi del Golfo, finanziano, sia pure indirettamente, il terrorismo, alimentando il fondamentalismo, con il suo sguardo torvo e aggressivo all’Occidente?

Perché i cristiani, nei paesi mediorientali, sono mediamente più benestanti dei mussulmani? Il contesto materiale è identico, dunque ciò che fa la differenza è una diversa idea, ossia una concezione di sé come figli oppure come schiavi; è comprensibile come il sentirsi figlio muova maggiormente in senso positivo, mentre pensarsi schiavo di un “dio lontano” e arbitrario sia un fattore facilmente paralizzante. Si tratta di fatti, che evidentemente smentiscono la minestrina riscaldata del terrorismo come figlio della miseria.

È giusto che ci si impegni a promuovere il bene, e dunque il benessere, dell’uomo, di ogni uomo: solo che, per farlo, non occorre andare a rimorchio di interpretazioni incompatibili con una antropologia pienamente fondata nella verità, e che semmai frenano, con remore ideologiche, le uniche concrete possibilità di miglioramento dei paesi poveri.

note


[1] In un precedente articolo su questa rivista (n. 1, 2003) “Pace e pacifismo”.

[2] I tempi in cui, da sinistra, si rimproverava al Papa di interessarsi solo delle ingiustizie del comunismo, trascurando quelle commesse da capitalismo (si ricorderà e ad esempio lo slogan “Papa polacco / col Salvador sei fiacco”, che rinfacciava Giovanni Paolo II una presunta indulgenza nei confronti di presunte ingiustizie del governo regolare contro i guerriglieri salvadoregni).

[3] Lo stesso D’Alema, che appare dalla seconda metà degli anni ’90 un esponente riflessivo e moderato all’interno dell’ex-PCI, ha detto di augurarsi che in futuro la stella del comunismo possa tornare a brillare.

[4] Ci sembra in effetti che tali credenti finiscano con l’assimilare un fattore della mentalità contemporanea, l’appiattimento sul presente immediato, per quella frenesia di essere alla moda che fa dimenticare ciò che è successo sia pur da pochi decenni. Così una parte non trascurabile di quel popolo cristiano, che è ontologicamente costituito sulla memoria e che alla memoria è chiamato, partecipa della grande dimenticanza tipica di quella mentalità che Maritain chiamava (ne Le paysan de la Garonne) cronolatrica. Per adattarsi, magari in buona fede, a ciò che pensano i propri compagni di cammino (non credenti), trascura il ricordo dei martiri, dei tanti fratelli nella fede, morti in seguito alle violentissime persecuzioni del “socialismo reale” e non si avverte come problema affiancarsi a chi con quella esperienza politica è in perfetta continuità.

[5] Perché, battute a parte, è un fatto che nel “cattolicesimo di sinistra” il miracolo non gode affatto di buona fama.

[6] Stare dalla parte dei poveri ad esempio è senza dubbio un valore cristiano: purché sia motivato e sostenuto dalla fede. Ma ci sono diverse legittime opzioni per attuare un valore del genere. Quella “di sinistra”, se debitamente intesa, è una. Il movimento cattolico di fine ‘800 era a sinistra delle forze liberali al potere in Italia e in molti paesi europei.

[7] Intendiamo il termine idea nel senso di convinzione spirituale, non necessariamente di origine puramente naturale, tant’ è che nella fattispecie l’idea che ha generato l’Europa è l’idea cristiana, di origine soprannaturale.